mercoledì 5 aprile 2017

Questione di incipit #19


E quindi sono tornata – ve ne sarete accorti. Dopo più di un mese di pausa, sono tornata da queste parti e mi auguro per più di un mese. Nei prossimi giorni vi racconterò un po' ciò che mi è successo e da cosa deriva questa mia assenza.
Intanto, però, oggi voglio parlarvi di un libro di cui in verità si è già tantissimo parlato. Di che si tratta? Ma di Neve, cane, piede di Claudio Morandini, pubblicato da Exòrma Edizioni.
In occasione dell'Indie BBB Cafè, voglio mostrarvene l'incipit. Per chi non lo avesse letto o per chi non conoscesse ancora bene la casa editrice è un modo per convincersi a mettere questo libro in lista desideri. Io ve lo dico eh, dopo aver letto l'incipit sono certa che accadrà. Non ditemi, poi, che non vi avevo avvisati!

Neve, cane, piede si ispira ai romanzi di montagna della letteratura svizzera e ci racconta la vita di montagna per come è realmente: dura, aspra, carica di solitudine e feroce.
Il protagonista, Adelmo, è un vecchio scontroso e smemorato, accompagnato da un cane chiacchierone e petulante che, però, funge da spalla comica.
Morandini ci permette di osservare, attraverso una piccola finestra, l'ambiente ostile e faticoso dei valloni isolati delle Alpi, l'isolamento di chi vi abita, la durezza degli inverni attraverso descrizioni realistiche e dettagliate.
Io sono un'amante degli inverni, magari non così duri, ma quando sta per arrivare la primavera, sento di aver bisogno di rifugiarmi in quell'angolino della mia mente fatto di distese infinite di candida neve e caminetti accesi.
Questo, credo, sia il libro di cui ognuno di noi ha bisogno: sia che sia inverno, sia che sia estate o primavera.
Pubblicato a novembre del 2015, ha subito avuto un enorme successo. Meritato, ne siamo certi.

Per avere maggiori informazioni sul libro e per poterne leggere la scheda, vi rimando al sito della casa editrice, proprio qui.

UNO 

Le prime avvisaglie dell’autunno spingono Adelmo Farandola a scendere in paese per fare provviste. La mattina, uscendo dalla baita, vede attorno alla malga l’erba dei prati intrisa di brina che stenta a sciogliersi. Venti gelidi insistono lungo il vallone, si insinuano fin tra le pareti della baita, sembrano battere alla porta, di giorno e di notte. Le nuvole si ingrossano, gravano sulle cose, e niente le sfilaccia più dalle pareti di roccia.
Giù in paese, allora, prima che sia troppo tardi e una nevicata renda difficoltoso il cammino.
Adelmo Farandola cammina, zaino in spalla. Ha bisogno di carne secca, salsicce, vino e burro. Le patate che ha messo da parte basteranno per tutto l’inverno. Ora riposano nella stalla, al buio, accanto ai vecchi utensili dell’alpe, i bigonci, le cavezze, le zangole, le catene, le spazzole, e protendono i germogli pallidi come per fare il solletico. Le patate ci sono, le mele anche – cassette di mele che il freddo renderà ingrugnite, lasciandole però commestibili. Adelmo Farandola ama il gusto di quelle mele brutte, un gusto che gli allappa i denti, si afferra a lungo ai peli delle narici, e sa un po’ di carne, di quella carne frolla che si avanza dopo una caccia abbondante. Anche le mele ci sono, e basteranno per l’inverno. Salsicce ci vogliono, e vino. Vino e burro. Burro e sale.
Il vento lo piega da un lato, mentre scende al paese. La fatica lo sorprende, e lo fa quasi ridere il pensiero di quanto faticherà al ritorno, in salita, con quel vento. Il sentiero scivola giù per canaloni e pianori, e talora scompare tra le vecchie ceppaie sfatte, tra l’erba alta, o il pietrame in perenne movimento, ma l’uomo sa come non perdere la strada.
Qui, a mezza costa, l’autunno colora i larici di un giallo scialbo. Non è l’autunno allegro e sfrontato del fondovalle, la tavolozza esasperata dei vigneti e dei boschi di ontani e castagni. Le foglie qui muoiono subito, si seccano subito sui rami, prima ancora di cadere.
In passato Adelmo Farandola si recava al paese più spesso, per ascoltare la banda nei giorni di festa solenne. Si nascondeva dietro i muri delle case, e lasciava che il suono della banda gli giungesse confuso. Ma aveva smesso presto di farlo, perché qualcuno lo aveva visto, gli era andato incontro con la mano tesa a stringere la sua, aveva cercato di scambiare due chiacchiere. Ora gli capita di scendere fino a metà della fascia di faggi, e di ascoltare le bande da lassù, ben protetto dalle foglie e dai tronchi. La musica sale indistinta, un pasticcio di colpi di grancassa, tube e stridori di clarini, oscillante nel vento, ma a lui basta questo, e a volte gli capita anche di riconoscere una melodia o l’altra, e gli viene addirittura voglia di canticchiarla, e allora lo fa, ma pianissimo, perché non vorrebbe essere scoperto da qualcuno che passa da quelle parti, pronto ad andargli incontro e a stringergli la mano e a non lasciargliela e a chiedergli cose che lui non sa, non si ricorda o non vuole sapere o non vuole dire.
Dopo qualche minuto, però, anche la banda gli dà la nausea. Gli sembrano troppi, troppo accalcati, troppo rumorosi, troppo allegri. Allora sputa per terra, si gira, riprende l’erta verso casa, dicendosi che quella banda suona proprio male, che gli abitanti del paese sono tutti stupidi, e che la musica non serve a nulla. Ma gli capita anche di sognarla, quella banda, e nel sogno sente suonare melodie bellissime, da musicisti perfettamente intonati. E senza paura si mette in coda alla banda, li segue e canta a voce spiegata quella musica che gli ricorderebbe antichi momenti di gioventù se avesse conservato quei ricordi per intero, balli con le ragazze, e soprattutto risse e lotte con gli altri pretendenti, lunghe chiacchierate con ragazze, fatte per lo più di silenzi e sospiri e singhiozzi da ubriaco.
Una vaga sensazione coglie Adelmo Farandola alle prime case del paese. Si guarda attorno, e tutto gli sembra meno estraneo di quanto gli accade di solito, quando torna a rifornirsi dopo mesi di solitudine sull’alpe. Prende sicuro la via principale, l’unica che possa dirsi via, e si dirige con una facilità che lo stupisce verso il negozio, l’unico che possa dirsi tale. La bottega si affaccia, con una vetrina ingombra di attrezzi impolverati e oggetti da regalo che la lunga esposizione al sole ha reso quasi incolori, sulla piazza della pieve, l’unica piazza che possa dirsi piazza. Lì si vende di tutto, alimentari e arnesi agricoli, biancheria e giornali, pure qualche ninnolo da donna. Adelmo Farandola entra, chinando naturalmente il capo all’ingresso, come si fa per timore quando si entra in chiesa, o come fa sempre lui per non sbattere contro il basso architrave della baita.
La donna del negozio lo guarda sorpresa, gli sorride.
– Buongiorno – gli dice, – lasci pure aperta la porta, grazie.
– Buongiorno a lei – dice Adelmo Farandola, con lentezza.
A non parlare per tanto tempo fatica a far uscire le frasi, e ogni parola gli sembra difficile come uno scioglilingua. Per distrazione, chiude dietro di sé la porta.
– Dimenticato qualcosa?
– No, io... dovrei prendere cose.
– Appunto, dico. Cose che si è dimenticato l’altra volta. L’altra volta, rimugina lui.
– La scorsa settimana, sì. Cos’era, martedì, mercoledì. Si ricorda lei?
– Io... io sono venuto a fare provviste.
– Questo l’ho capito. Ma visto che è già venuto a fare provviste con quella stessa faccia la settimana scorsa, per l’inverno, io le sto chiedendo se per caso ha dimenticato qualcosa, e che cosa ha dimenticato l’altra volta di così importante, visto che non è proprio una passeggiata quella che deve fare per scendere fin qui, e poi risalire non ho mai capito bene dove.
La donna ha la lingua allenata alla chiacchiera. Adelmo Farandola invece, avvezzo ai silenzi di mesi, ha perso la capacità di ascoltare, oltre a quella di esprimersi.
– E visto che l’altra volta, insomma quel martedì o mercoledì della scorsa settimana lei, caro mio, si è caricato di un bel po’ di roba, mi chiedevo appunto che cosa mai avesse dimenticato. O è passato di qui solo per salutarmi? – ride la donna, una bella risata lunghissima che fa venire i brividi al povero Adelmo Farandola e la voglia di scappare dalla bottega senza comprare nulla.
– Io... non sono sceso dall’aprile scorso... – balbetta lui, invece, con grande sforzo.
– Ma se le dico che l’ho vista qui! Martedì o mercoledì! Mi prende in giro?
– No, io... Entra un altro cliente, un vecchio del paese che una volta riparava attrezzi. Il campanello della porta fa sobbalzare Adelmo Farandola e gli fa fare un passo indietro, verso un angolo buio. Il vecchio annusa e ride.
– Ti è andato a male qualcosa? – dice alla donna.
– Benito! – ride la donna al nuovo arrivato.
– Il signor Adelmo vuole scherzare, e finge di non ricordarsi che è passato di qui la scorsa settimana a svuotarmi il negozio per l’inverno. Lascia pure aperta la porta, grazie. Il vecchio ride ancora, si passa le dita sui baffi ingrigiti, non dice nulla.
– Io non sono sceso da aprile – balbetta ancora Adelmo Farandola. Il vecchio ride e tace.
– Diglielo tu, Benito, che martedì o mercoledì il signore era qui, e mi ha saccheggiato il negozio.
– Eh, ti ho visto anch’io – ride il vecchio.
– Ma dove?
– Proprio qui fuori, per la strada. Carico come un mulo.
 – Ecco, che le dicevo? – fa la donna, con aria di trionfo.
– Ma il signor Adelmo qui ha sempre voglia di scherzare, fingeva di non ricordarsi.
Adelmo Farandola tace a sua volta. Non scherza mai, lui, non sa scherzare, non sa nemmeno cosa vuol dire scherzare, se mai gli venisse in mente di scherzare nessuno se ne accorgerebbe, perché non sa scherzare, e al massimo lo prenderebbero per scemo, come sta capitando adesso.
– Allora, che cosa vuole? – dice la donna, ora più sbrigativa, visto che è arrivato un altro cliente.
– Ecco, io... Io...
– Lei, sì.
– Io non mi ricordo esattamente che cosa ho preso l’altra volta...
– Come non ricorda? Il vecchio ride per conto suo, di fronte alla smemoratezza del montanaro.
– Non ricordo che cosa ho comprato... perché a me servirebbe del sale...
– Ma se gliene ho dato tre pacchi! – ...del burro... – Tre chili! E che ci fa con tutto quel burro?
– ...del vino...
– Eh, quello non è mai abbastanza – ride il vecchio.
– Una damigiana non le basta? Quando l’ho vista partire carico di tutta quella roba ho pensato che non ce l’avrebbe mai fatta fin lassù! Ma come ci è riuscito, a proposito? – E poi, di nuovo ammiccando:
– Non mi dirà che ha già finito quel ben di dio. Il vecchio ride, ride.
– Il vino si finisce in fretta! – ride.
Basta, alla fine, per non partire di lì a mani vuote, Adelmo Farandola compra due bottiglioni di rosso e tre paia di calzettoni di lana. Paga con grosse banconote attorcigliate e bisunte, che la donna con un sospiro prende in mano. Ed esce, nel vento già invernale.

Allora, che dite? Avete già inserito il libro in lista desideri? 

1 commento:

  1. Ciao, ti ho invitata qui! :D
    https://lovingbooks89.blogspot.it/2017/04/link-party-consiglia-tre-libri-in-base.html

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