lunedì 27 giugno 2016

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 27 giugno – 3 luglio


Buongiorno!
Oggi sarei dovuta andare in palestra, alla lezione delle 9, ma non ce l'ho fatta. Ha vinto la pigrizia. Ho messo la sveglia, ho bevuto il caffè e poi niente, ho guardato il borsone e ho capito che non ce l'avrei mai fatta. Ho rimandato bellamente a mercoledì. Non perché io sia solo pigra eh, sia chiaro (anche se incide non poco), ma anche perché già alle 7.30 di mattina si suda che è una bellezza, uscendo dalla palestra alle 10.30 avrei dovuto poi chiedere a qualcuno di trasportarmi a casa dentro una borsa frigo.
Capite? Non se po' fà.
Per scrivere questa puntata ho dovuto combattere contro circa 2 interruzioni al minuto, tutte causate da domande più o meno esistenziali poste dalla vecchia.
Ora credo abbia trovato in che modo impiegare la sua attenzione per i prossimi dieci minuti per cui sbrighiamoci, parliamo subito delle uscite di questa settimana ché altrimenti mi chiama un'altra volta per una domanda importante ("Ma perché non vedo i sottotitoli nella puntata di TalDeiTali? Li ho messi e non ci sono!!").

Non avevo neanche capito che si trattava della silhouette di una donna. Ho fissato questa copertina per circa due minuti domandandomi che parte del corpo fosse e quale fosse l'angolazione.
Quel crisantemo gigante sulla sinistra diciamo che non è che mi ha proprio aiutata nel capire di che cosa si trattasse. 
Perché è un crisantemo, vero? Perché, se non è un crisantemo, questa faccenda assume strane sfumature fantascientifiche. 
La mano della tizia si sta sciogliendo per diventare un tutt'uno con il girovita e, dall'altro lato, prendono forma nuove forme di vita. 
Cos'è, un romanzo sci-fy? 703 ragioni per dire sì alla dominazione aliena? Me viè in mente la puntata di Mistero con Giovanna come protagonista, non so se ce l'avete presente, la tizia che diceva di essere stata l'incubatrice degli alieni. 
Questa non sarà mica la storia di Tamara, la serra vivente di crisantemi alieni? Una che veniva rapita e telepaticamente le veniva comunicato quando innaffià le piante che portava dentro di sé? Purtroppo, sebbene la prospettiva degli alieni giardinieri fosse interessante, L. F. Koraline s'è invece voluta piegà al classico romance. La scheda dice che questa è la storia di Eden Gari che ha venticinque anni e aveva perso la speranza nell'amore finché, un giorno, non incontra un uomo e "annega nei suoi occhi". Quell'uomo diventerà la sua passione ma anche la sua condanna (forse colleziona crisantemi 'sto tizio? Magari ha un vivaio) perché con lui scoprirà il piacere troppo proibito, ma robe che gente scioè ma de che stamo a parlà, mai un uomo l'aveva fatta sentì una donna tutta d'un pezzo come una siepe, lineare come un cipresso, paziente come una pianta carnivora. Ma attenzione perché l'uomo misterioso le farà un ricatto, probabilmente che include l'utilizzo di un insetticida, e lei sarà disposta a rischiare l'infestazione di afidi nei suoi gerani oppure no?

Pensavo si trattasse dell'ultimo cd di Nek. Invece no, è Tra di noi NESSUN SEGRETO. Ormai tutto è stato sdoganato, pure l'utilizzo del maiuscolo per metà titolo. Così, come se io cominciassi a scrivere normalmente E POI A UN CERTO PUNTO COMINCIASSI A USARE IL MAIUSCOLO SENZA MOTIVO ALCUNO. E ce mettessi pure il sosia de Nek in copertina. Ma perché? Potrebbe pure esse Tiziano Ferro vestito da Nek, ora che ci faccio più attenzione. Che sta cercando tranquillamente di smontarsi un dito. Si vede che è del partito per cui almeno una parte del corpo non è effettivamente necessaria. D'altronde non è riuscito a fasse toglie il collo dal grafico di turno, ce pensa da solo almeno a smontasse un dito.
La smarmellata effetto "vignettatura" di Instagram mi piace moltissimo perché fa risparmiare un sacco sui contorni che, altrimenti, erano davvero un dito sabbiato nel didietro, ammettiamolo. Staggente, sti esseri umani, che se permettono ancora d'annà in giro coi contorni, facendo un dispetto ai grafici. Ma come se permettono? Comunque, Tra di noi NESSUN SEGRETO non è il romanzo tratto dalla combo di Stop! Dimentica e Laura non c'è (purtroppo!), ma racconta la storia di Mathias, un uomo spregiudicato e calcolatore, dice la scheda, che non vuole lasciarsi andare ai sentimenti: né quelli che gli altri provano per lui, né quelli che ptorebbero quasi pe' sbajo, nasce nei profondi antri oscuri del suo cuore. Così, quando il suo incontro con l'ingenua Scarlett muoverà qualcosa nel suo cuore (mo' se dice così eh, se chiama cuore), lui resisterà di brutto perché niente vale più dei soldi. Ma lei ormai è intrappolata nella spirale di piacere e attrazione e, boh, sarà che la certezza che lui riesca anche a smontarsi le dita le mette in testa strane idee, ma la nostra Scarlett farà in modo di non farsi resistere per molto tempo. Un romanzo dall'elevato tasso erotico ma con toni noir. Non so in che senso e non voglio saperlo. 



Per questo lunedì è tutto,  mi auguro che il prossimo LUNEDÌ CI SIANO PIÙ USCITE DEGNE DI NOTA. Non m'è partito il maiuscolo a caso eh, è solo che se lo fa Robin C. non vedo perché non cominciare a farlo pure noi. 
Vi auguro una settimana di Sere Nere e salici piangenti!

mercoledì 22 giugno 2016

Canto della pianura, Kent Haruf – recensione

Avrei voluto che questo post uscisse la settimana scorsa, ma non ci sono riuscita. E non per questioni di tempo, sia chiaro – anche se pure quello ultimamente scarseggia un po' –, quanto piuttosto perché non sapevo in che modo affrontare Canto della pianura.
Mi succede più spesso di quanto immaginiate, soprattutto con quei libri che, davvero, non hanno bisogno della mia opinione. Ci provo comunque, conscia di non essere all'altezza di un romanzo così.

Canto della pianura – sebbene in molti non lo sappiano e dicano che no, non è così è il secondo perché il primo è Benedizione – è il primo romanzo della Trilogia della pianura (controllare su wikipedia prima di lasciare qualsivoglia commento su questa faccenda). 
La diatriba è aperta e fa molto discutere. Io ho scelto di leggere i romanzi nell'ordine con il quale sono stati scritti, sebbene questa non sia una vera e propria trilogia – e anche Haruf stesso lo sosteneva.
Ho iniziato, quindi, da Canto della pianura perché avevo la possibilità di leggere Crepuscolo insieme al gruppo di lettura de Il tè tostato. È insensato, o forse no, ma è davvero andata così. Potevo confrontarmi con Laura, che stimo molto, su un titolo (o meglio, un autore) che stava facendo molto parlare di sé e ho colto l'occasione per acquistare (e leggere in circa 24 ore) il primo volume.

Haruf ha impiegato praticamente 16 anni per completare la stesura della trilogia e questo potrebbe voler dire che, in fondo, davvero la reputava una trilogia non trilogia; oppure, semplicemente, gli ci sono voluti diversi anni per elaborare quanto aveva da raccontare.
E non mi risulta difficile da credere, considerando che, ogni giorno, Kent Haruf si sedeva alla macchina da scrivere indossando un berretto di lana fino a coprirsi gli occhi così da poter scrivere ciecamente, immergendosi pienamente nella piccola città da lui creata in Colorado, sfondo e contemporaneamente protagonista di ognuno dei tre romanzi della trilogia. Non doveva essere semplice isolarsi del tutto, non doveva essere per niente semplice tornare, con la mente, ai luoghi in cui aveva vissuto da bambino (luoghi che Haruf ha incontrato nei diversi posti in cui ha vissuto, ma che attribuisce a Holt, città che, in realtà, non esiste).
Non che, comunque, di norma fosse un autore particolarmente veloce nella sua produzione e, a dimostrazione di ciò, vi è l'esiguo numero di libri scritti dal 1984 al 2014, anno della sua morte (l'ultimo libro è, infatti, stato pubblicato postumo).

Già Rizzoli, nel 2000, aveva colto il potenziale di questo romanzo e lo aveva fatto approdare in Italia a un solo anno di distanza dalla pubblicazione in America. Forse i tempi non erano maturi, forse il progetto grafico della copertina non era adeguato al momento storico dell'editoria italica (sebbene avessero scelto, stranamente, di mantenere la copertina originale) o forse, semplicemente, Haruf era in anticipo. Succede, alle volte, che un autore sia in anticipo rispetto al periodo storico in generale e di un paese in particolare.
A tal proposito mi viene in mente l'enorme successo di John Fante a seguito della sua ripubblicazione da parte di Einaudi, successo che, invece, con Marcos y Marcos era stato molto contenuto. Non ricordo assolutamente cosa andasse di moda in Italia nel 2000, ma forse Haruf non rispecchiava le esigenze dei lettori in quel momento.
A oggi, per fortuna, le cose stanno diversamente. Il successo di molte ripubblicazioni, da parte delle case editrici, di grandissimi autori americani del passato e del presente (penso a Fazi con la Baker e la serie dei Cazalet, a Bompiani che ripubblica Lethem, ad esempio) e il crescente interesse dei lettori verso le piccole e medie case editrici ha fatto sì che Haruf trovasse una montagna di morbidi cuscini ad attenderlo al suo lancio.

lunedì 20 giugno 2016

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 20/26 giugno



Sono sfinita, quindi questo è un bel lunedì di cacca anche per me. Che poi, ora che ci penso, da un bel po' di tempo a questa parte un sacco di lunedì sono stati lunedì anche per me. Non so da cosa dipenda, ma ci sono periodi in cui i lunedì sono più lunedì di altri lunedì.
Sabato sono stata a una festa e, dato che la vecchiaia imperante è dietro l'angolo, mi sono svegliata dopo aver dormito solo per 5 ore. Poi mi dite perché un tempo arrivavo almeno a 8, se ero tornata tardi, e adesso – con l'età che avanza – più tardi vado a dormire, meno dormo. A ciò si aggiunge che, se ho bevuto, dormo ancora meno. Il giorno dopo, in pratica, somiglio al vostro incubo peggiore.
Quindi: sabato ho fatto tardi e dormito pochissimo e, non contenta, ieri ho anche contribuito alle proiezioni per le elezioni e sono tornata a casa più o meno distrutta (tardi). E oggi?
La mia faccia oggi.
Oggi sono le 7.45 – momento in cui sto scrivendo questo cappello introduttivo, il resto l'ho scritto ieri – e a breve andrò in palestra. In pratica la mia faccia al momento fa spavento, ve ne offro una diapositiva qui accanto così potete immaginarmi meglio (pure la postura è la stessa eh). C'ho pure tipo un po' gli svarioni – a Roma con svarioni si indicano anche i mancamenti –, ma sono certa che dopo pilates andrà meglio (le ultime parole famose). Comunque, sebbene l'altro giorno fossi decisa a fare una lista di libri da regalarmi al compleanno... Il fine settimana ha portato consiglio e niente, mi sa che ne compro solo uno. So che è una brutta notizia, so che non la prenderete bene, ma approfondiremo in un'altra sede (cioè in un altro cappello introduttivo). Adesso vediamo un po' cosa ci aspetta questa settimana in libreria!


Io non so che j'ha fatto Elisa a Piemme, forse le volevano male di brutto, così hanno preso una bambola gonfiabile per fare la parte di lei, e un tizio con un pigiama (se non è un pigiama me sento male io pe' lui) che se non c'ha almeno 10 anni deppiù della bambola gonfiabile, se li porta veramente male.
Se esce da casa davvero con la maglia di quel colore e quel modello e non è intrappolato nella Sicilia degli anni '80 io, seriamente, temo che mi sentirò male.
Tra l'altro la foto chi l'ha fatta? Mio cugino di 10 anni? Cioè è riuscito a sfocargli una mano su due (e non era semplice) in modo che una appaia più grossa e tozza dell'altra (e, anche qui, non era cosa da poco). 
Delicatissimo il fucsia bimbominkia e altrettanto delicatissimo il riferimento a Whatsapp, a dimostrazione del fatto che ormai laggente se fidanza in chat, se lascia pe' telefono e resta incinta pe' citofono. Ed è una cosa che, seriamente, mi mette una tristezza addosso che, alle volte, mi sembra quasi di stare toccando la depressione.
Ma poi, oh, vabbene che sei intrappolato nel corpo di un pescatore catanese degli anni '80, ma c'hai 30 anni, invitala 'sta tizia a prende un'acqua minerale (c'ha la faccia di una di quelle che non bevono neanche i succhi di frutta), non fare il cretino davanti al balcone. E, nel dubbio, cambiate prima d'uscì. La scheda dice che lei è copywriter e sta andando in trasferta per lavoro perché l'agenzia per la quale lavora ha un progetto con una casa discografica (oook, normalmente la produzione se ne sta a ufficio, altro che trasferte, ma va bene). Insomma, lei stava con uno che si chiama Christian che l'ha piantata per email e lei per otto mesi ha atteso un suo segnale ma niente e allora morte interiore e distruzione e rinuncia all'amore, BASTA DA OGGI MI SPOSO COL SIGNORE!11!!. Poi niente, va lì in trasferta e indovinate? Incontra di nuovo l'amore e manda a quel paese il voto di castità. Non esistono più le devote di una volta.

martedì 14 giugno 2016

Ross Poldark, Winston Graham – recensione

Oggi, finalmente, posso parlarvi di Ross Poldark, primo romanzo della serie storica scritta da Winston Graham e pubblicato in Italia da Sonzogno.
Avrei voluto farlo prima ma impegni eccetera eccetera mi hanno resa un po' incostante in tutto: nelle letture, sul blog, nella vita in generale. 
Ho terminato il libro da poco, sebbene lo abbia iniziato diverso tempo fa – ma, appunto, momenti, situazioni, eccetera – e l'ho apprezzato tanto. Ma tanto. Adesso attendo con ansia la pubblicazione dei seguiti!

Vediamo nel dettaglio perché mi è piaciuto.
Innanzi tutto tocca precisare che ho letto il libro e ho anche visto la miniserie che la BBC ha tratto dai primi due romanzi e ne sono molto soddisfatta (sia dell'uno che dell'altra). 
Non ho mai nascosto il mio interesse per un certo tipo di narrazione (e, anche, per un certo tipo di ambientazione) e Ross Poldark rientra perfettamente in quello che mi aspetto da questo tipo di romanzi.
Non si tratta esattamente di un romanzo storico. O meglio, storico lo è senz'altro, ma si intuisce che non è un classico inglese, sebbene l'ambientazione e le vicende possano trarre in inganno.
In verità, ciò che fa intuire che non si tratta di un romanzo scritto realmente da un autore del '700 inglese è proprio la caratterizzazione di Ross Poldark, un uomo che, rientrato dalla guerra, non trova più ciò da cui si è separato prima di recarsi in battaglia: il padre è morto, lasciando Nampara – tenuta di famiglia – in stato di abbandono, Elizabeth – la sua promessa – ha sposato un altro uomo (il primo cugino di Ross) e tutto sembra essersi trasformato in qualcosa di arido ed estremamente freddo.
Un po' come la selvaggia Cornovaglia, dalle scogliere mozzafiato ma in ginocchio a causa della fame e della povertà dei suoi abitanti, dovuta in parte alla chiusura di alcune miniere di rame del circondario che offrivano sostentamento a gran parte della popolazione.

Fino a qui sembra essere un romanzo storico come tanti altri e, forse, per gran parte del romanzo lo è davvero ma, a un certo punto, ci si accorgerà della netta differenza.
Ross, infatti, non è il classico signorotto inglese arricchito, piccolo borghese che disprezza i poveri e, anzi, li maltratta facendo sì che lavorino per lui a condizioni a dir poco animalesche. No.
Ross è essenzialmente un buono, seppure con tutti i suoi difetti, e come tale si comporta con tutti: è vicino alle persone, è il tipo di uomo che si rimbocca le maniche e aiuta i propri dipendenti, è altruista e generoso, disposto ad aiutare chiunque ne abbia bisogno. È forse già un socialista senza che se ne renda conto. Aiuta la comunità e la comunità gli restituisce prontamente l'aiuto, stringendo i denti quando c'è da stringerli e festeggiando con lui i momenti importanti.
Ross Poldark piace, piace alla gente e piace anche (e soprattutto) al lettore perché, a differenza dei signorotti dell'epoca, è consapevole che di nobile, nella sua famiglia, sia rimasto esclusivamente il cognome e si comporta di conseguenza, senza approfittare del nome per ottenere qualcosa.

lunedì 13 giugno 2016

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 13/19 giugno


E buongiorno!
L'entusiasmo serve solo a distrarmi, perché sono appena tornata dalla lezione di pilates. V'ho amato immensamente, sapevatelo. Pilates è bello eh (cioè, come bello può essere qualunque esercizio fisico per chi è pigro come me), però il giorno dopo mi muovo sempre come Robocop. Ovviamente è colpa mia che faccio attività fisica incostantemente, quindi grazie all'acido lattico divento un pezzo di legno – vi lascio immaginare cosa accade se, il giorno dopo la lezione di pilates, devo correre per prendere un autobus. Sappiate solo che ho scoperto che puoi correre anche senza piegare del tutto le ginocchia, è molto difficile ma ci si può riuscire, peccato poi che i passanti ti prendano per una deficiente. E il rischio caduta di faccia sia molto consistente, ma a me piace il rischio, mettiamola così.
Per il resto tutto bene, sto dimezzando i libri in lettura e questa cosa mi offre grandissima soddisfazione. Sono comunque indietro secondo Goodreads nell'avanzamento della mia sfida, ma c'ho troppe ansie in questo periodo, non ce se po' mette pure Goodreads.
Vabbè, tralasciamo le inutili ansie, parliamo di cose serie: tante cose belle questa settimana e non solo in libreria. Scusate, c'ho dovuto aggiungere alcuni ebook perché meritavano seriamente. Meno male che è giunta la stagione delle letture da ombrellone, altrimenti mi toccava mandare in ferie Photoshop non ti conosco e noi non possiamo permettercelo, vero?


Terrificante, semplicemente terrificante. E terrificante è da leggere con una r sola, con l'accento romano: terificante.
A parte che ogni volta che viene scomodato un classico per un libro de merda me sento male, me parte l'embolo e comincio a vedere il mondo a chiazze (le chiazze, per inciso, sono immagini di violenza inaudita verso l'autore in questione), ma ammetto che questo potrebbe essere solo che un problema mio, ma quando facciamo pure le copertine che so' delle pecionate me sento ancora più male.
Perché in copertina c'è un porta tabacco di cuoio, perché? 
Questo è seriamente un brutto portatabacco, dico davvero (diapositiva qui per controllare, se non ve fidate). 
Ora, a meno che questa Lizzie Bennet non lavori in una piantagione di tabacco in America – e cioè, po' esse eh, me la immagino che frusta gli schiavi che lavorano per lei (ed è subito Fiocchi di cotone per Janie ma con il tabacco) –, non vedo perché debba esserci un portatabacco in copertina.
Ma la scheda, ahimè, non ci svela la cura per la gengivite imperante di cui soffriva chi masticava foglie di tabacco e neanche ci dà dritte sulle dimensioni delle vere sputacchiere (ché, voglio di', qualora uno volesse piantare del tabacco sul proprio balcone, è sempre utile sapere di che dimensione comprare la sputacchiera). È la storia di una studentessa ventiquattrenne afflitta dai debiti che vive con le sue due sorelle: Jane (me pare ovvio) e Lydia. Quando Lizzie comincerà a registrare le sue riflessioni sulla vita e le pubblicherà su youtube (ehhhh? Ma lo youtuber marzulliano è peggio di quelli che fanno i vlog inutili sul loro piatto preferito), diventerà così famosa da essere un fenomeno della rete. E a quel punto, proprio all'apice della sua "famosità", incontretà William Darcy a un matrimonio. Sto per avere un mancamento, e per riprendermi credo che focalizzerò la mia attenzione su quel tondino con dentro un libro e un cuoricino. Così, per vomitare meglio in solitudine. Sipario.

Ed era tanto tempo che non avevamo più problemi con il collo della gente, quindi sembrava doveroso da parte di Sperling cercare di fare del suo meglio. E ce l'abbiamo fatta alla grande, gente, con questa copertina evanescente con una tipa senza orecchie. 
Passi l'orecchio destro, ma il sinistro? Dov'è?
Ma sticazzi, d'altronde se il collo era sopravvalutato, perché le orecchie dovrebbero servire a qualcosa? E non ditemi che l'orecchio che tristemente manca all'appello è nascosto dai capelli perché non ce stanno capelli davanti.
Mi piace un sacco lo sfondo di un posto devastato dalla guerra, che teoricamente dovrebbe essere il Salento (saranno contenti i pugliesi, di essere dipinti come gente che vive nella brutta copia del mercato in Aladdin), dà un non so che di romantico alla cosa.
Dici, avrà perso l'orecchio in guerra? Indosserà per questo un cappello di paglia così largo, così da nascondere la deturpazione?
Il tocco smarmellato mi piace molto, devo ammetterlo, perché la nebbia che le ricopre metà faccia è quanto di più artistico si possa immaginare. Forse è la polvere delle case che crollano. 
Ma, purtroppo (o per fortuna), questo romanzo non racconta la storia della terza guerra mondiale dove i salentini si presentano come forza armata a sé stante ma, ci dice la scheda, l'unica persona morta in questo libro è nonna Adele che lascia l'antica masseria di famiglia in eredità a Viola. Ma dell'antica masseria non è rimasto quasi un cazzo e quando Viola giunge in Salento trova erbacce, mura scrostate e tanta desolazione (ma c'è un albero d'ulivo però eh, non temete). Allaggente, però, l'arrivo di Viola non piace, ma tanto poi c'è l'amore e che cazzo ce frega a noi della desolazione, con l'ammore diventa tutto meraviglia e tra taranta, ulivi, taralli, pasticciotti e mare blu, la nostra Viola si ritroverà a riavere la gioia di vivere. E pure un paio de chili de più.

venerdì 10 giugno 2016

Ciarlando allegramente di... #14

Ooook! Questa rubrica (che poi, sarà una rubrica?) la uso talmente poco che m'ero pure scordata che era senza banner. E per questa puntata lo rimarrà perché sto ricorreggendo tutto questo poco prima di finire di fare un excel per lavoro e, credetemi, non ce l'ho davvero il tempo di mettermi a smanettare con Canva. Perché non ho nessun problema ad ammetterlo: io i banner me li faccio con Canva.
Eh, pure che parlo a destra e a manca di Photoshop, non lo so usare se non per ridimensionare e ritagliare le immagini. Lo uso tipo allo 0,1% delle sue potenzialità ma hey, mai detto io che voglio fare copertine dei libri!
Vabbè, comunque si vede dalla grafica basic di questo blog che sono impedita, altrimenti avrei un sito serio e non un header ganzo e il dominio blogger.
Ma va bene, quando deciderò di frequentare sentimentalmente un nerd le cose cambieranno (è più probabile che paghi qualcuno per farlo, comunque).
La situazione dei libri in lettura è leggermente migliorata, anche se di poco, perché continuo a distrarmi ma sono fiduciosa. Entro il weekend dovrei finirne un altro e, quindi, rientrerò in numeri considerati umani. Devo, forse, rassegnarmi anche a terminare – o accantonare e ricominciare in un secondo momento – i libri in standby perché altrimenti me li porterò dietro all'infinito e non c'ho nessuna voglia di lasciare le cose a metà per così tanto tempo.  Va bene essere incostanti (io sempre) ma anche all'incostanza c'è un limite.
Adesso basta ché ogni volta c'ho i cappelli introduttivi più lunghi della storia e c'avete ragione anche voi se mi venite a dì che qui si fa tutto meno che parlà di libri.
Ve ne presento due oggi, uno letto ormai un secolo fa e per fortuna m'è piaciuto ché sennò avevo dimenticato pure la copertina, e uno terminato da poco (ma non definisco poco ché è meglio).

Guida rapida agli addii non è il romanzo più riuscito di Anne Tyler (almeno tra quelli che ho letto), lo ammetto. Più che un suo romanzo sembra come se fosse un racconto.
Pochissime pagine (214 in totale) ma che raccontano una storia toccante e commovente ma mai, assolutamente mai, triste.
Eppure Aaron, protagonista del libro, un motivo (e forse più d'uno) per essere triste ce lo avrebbe anche. E a tratti, in effetti, lo è.
Ma sono la delicatezza e la pacatezza con le quali Anne ci racconta di quanto accade che mi colpiscono sempre di lei, non tanto le storie che racconta.
Non ci sono urla in Guida rapida agli addii, non ci sono eccessi. Sembra che tutto accada in modo pacato, in ordine, al massimo della compostezza.
Il tema di questo romanzo della Tyler (e non solo questo, in realtà e, quindi, comincio a pensare che sia un tema che le sta molto a cuore) è l'analisi del passato attraverso il presente, un tema che già in qualche modo Anne aveva affrontato – seppure differentemente – in Per puro caso (titolo terrificante che non c'entra niente e, infatti, il titolo originale è Ladder of Years). Qui, infatti, piuttosto che inserire un viaggio (più una fuga, a dire il vero) e un conseguente nuovo inizio per analizzare il passato, Anne inserisce un aspetto che, inizialmente, avrà un che di soprannaturale. Continuando con la lettura il soprannaturale verrà meno, lasciando spazio alla consapevolezza di un grande dolore e dell'accettazione di una perdita. 
Credo che in questo libro al posto di Aaron ci sia Anne, senza la disabilità e senza l'egoismo che lui stesso giustifica con l'essere disabile, ma sì. Credo che il dolore di Aaron sia il dolore di Anne, che ha perso il marito qualche anno prima che questo romanzo venisse pubblicato. 
Questo, come dicevo inizialmente, è forse il suo romanzo meno riuscito perché non è un romanzo. È il racconto di un'accettazione di una perdita, forse la perdita di Anne stessa. A me, comunque, che sia il romanzo meno riuscito di Anne importa poco, perché qualcuno che riesce a scrivere in questo modo è difficile da trovare sulla faccia della Terra. E allora, ve ne prego, quando leggete Anne, soffermatevi anche sulle parole, perché metà del suo genio sta proprio nelle parole che utilizza, oltre che nella scelta dei piccoli momentidi quotidianità da raccontare.
«Sistemai lo spruzzatore vicino alle azalee e aprii il rubinetto al massimo, poi tornai a sedermi. Così scoprii il piacere di stare a guardare un prato mentre veniva annaffiato. 
Giuro che sentivo la gratitudine dell'erba. Anche gli uccelli sembravano riconoscenti; arrivarono dal nulla come se in qualche modo si fosse sparsa la voce, e cinguettavano allegri svolazzando tra le gocce».
Ogni suo romanzo è un gesto d'affetto verso il lettore. Verso di me sicuramente.

Ho scoperto l'esistenza di Made you up su Goodreads, dove scopro circa il 90% dei libri che poi acquisto in inglese. Uso Goodreads esclusivamente per essere informata sulle uscite di libri in America, Regno Unito e Australia.
Sembra strano, ma ho iniziato a farlo perché avevo questa malsana idea di dovermene andare in Anglosassonia a lavorare in una libreria e, quindi, conoscere il mercato anglosassone era un obbligo. Ho poi accantonato l'idea della libreria ma, ormai, avevo sviluppato un interesse per altri libri e non solo quelli dei cinque scrittori in croce che trovi da Feltrinelli International (Dan Brown, Kinsella, Rowling, Grisham, Murakami).
Ogni tanto, quindi, capita che io legga un libro in inglese per tenermi in allenamento – faccio ancora abbastanza schifo in inglese, ma questi sono inutili dettagli.
Ho scelto Made you up di Francesca Zappia perché mi sembrava scorrevole, semplice, e perché aveva una critica molto positiva su Goodreads. L'ho iniziato in un pub a Dublino e, se non fosse stato un periodo del cacchio ma fossi rimasta a Dublino per una settimana anziché quattro giorni, lo avrei terminato in pochissimo tempo.  
Made you up è la storia di Alex, una ragazzina che da sempre lotta per comprendere la differenza tra realtà e immaginazione. Ad Alex, infatti, è stata diagnosticata una lieve schizofrenia che le causa problemi con la percezione, appunto, della realtà. Ciò che vede, le persone con le quali parla, sono reali o sono frutto della sua immaginazione? Nonostante questo, comunque, i genitori cercano di farle vivere una vita più o meno normale, mandandola a scuola e facendo sì che interagisca con ragazzi della sua età. Così, Alex entra a far parte di un gruppetto di amici, diciamo più un club che un gruppetto di amici, a capo del quale vi è Miles. Il libro, di per sé, è anche piacevole ma soffre di una quantità di inesattezze e cliché che, forse, era il caso di evitare. È uno young adult e non mi aspettavo la stessa precisione di un trattato di psichiatria sulla schizofrenia, ma neanche che passasse il messaggio che chi soffre di schizofrenia ha solo le allucinazioni visive "piacevoli". Insomma, non è propriamente così. Francesca Zappia avrebbe potuto non cercare una giustificazione razionale al disturbo, avrebbe potuto lasciarlo così, senza spiegazione, e sarebbe andato bene lo stesso perché avrebbe potuto utilizzare l'espediente di cosa è vero e cosa no anche con il lettore. E invece niente. Il risultato è un guazzabuglio di buone idee e cattive riuscite, peccato. Oltre che dare prova di una disinformazione sua, ma pure di tutti quelli che hanno lavorato al libro, a tratti imbarazzante.


Trovo che, ultimamente, la qualità dei libri per ragazzi si sia abbassata notevolmente perché, purtroppo, il cliché è dietro l'angolo. Sbaglio forse? Sarà solamente una mia impressione? Voi che dite?

giovedì 9 giugno 2016

Undici consigli in undici minuti ovvero un altro Liebster Award oppure ma anche no


Sì, è di nuovo il Liebster Award, è di nuovo il premio delle undici domande a undici blog in undici minuti e in undici parole.
Non mi definisco una che le regole le rispetta fortemente e, considerato che non l'ho mai fatto, non vedo perché iniziare adesso. Non mi sembra neanche io sia una di quelle che fa le cose in maniera normale (parlo di libri brutti quasi sempre, per cui...) e, anche qui, non credo di sover iniziare adesso.
Per cui sì, questo è il Liebster Award ma anche no.
Andiamo con ordine: sono stata nominata da a clacca piace leggere e lei ha scelto me e solo me per questo premio. Che è da un lato lusinghiero e dall'altro una chiara dichiarazione di guerra. È evidente: a Clacca piace la caccia e io la andrò a cercare per minacciarla sotto casa armata di una cucchiara di legno. Undici domande, seriamente?! Argh!
Risponderò comunque, sebbene siano undici (undici!) e, piuttosto che nominare undici blog in undici secondi che risponderanno a undici domande nei prossimi undici giorni, io chiedo undici (non so se ci arrivo a undici, onestamente, ma ci proviamo) consigli a voi. Di diverso tipo: sulla lettura, su questo blog, sul colore dell'anno, sull'esistenza degli extraterrestri. Ma, prima di chiedervi undici consigli in undici minuti (guardate che vi controllo eh!), veniamo alle undici cose che Clacca (probabilmente solo lei, appunto), vuole sapere di me.

1. Qual è la cosa che ami di più della tua città?
Roma, gente, è dentro di me e pulsa nelle mie vene come fosse linfa vitale. Io la amo tutta Roma, la sento parte di me come mai ho sentito parte di me l'altra città dove ho vissuto (che sarebbe la mia città natale anche, ma sono inutili dettagli). 
Alcune volte la sua infinita bellezza mi commuove e quando parto per un viaggio una lacrimuccia scende sempre, al decollo. Soprattutto se so che starò via tanto. Non è razionale, o forse sì, questo attaccamento al terreno. Eppure Roma è così: se non la aggredisci e ti lasci abbracciare, ti conquisterà.
2. Se potessi partire adesso, così, senza preavviso, dove ti piacerebbe andare?
Al Paiolo magico, a bere una Burrobirra e poi dritti a Hogwarts. Ma anche alla Contea della Terra di
La gente che conta beve Burrobirra.
Mezzo eh, mica me faccio problemi. Anzi, quando volete partiamo.
3. Hai tatuaggi o piercing? O eventualmente ne faresti qualcuno?
Ho tatuaggi (esattamente 4) e non ho piercing, se non considero i normali buchi nelle orecchie (4 all'orecchio destro e uno all'orecchio sinistro). Medito il quinto tatuaggio da un pezzo e ultimamente, però, me ne è venuto in mente un altro. Non li farò entrambi, ma ne sceglierò uno solo tra i due. Forse. O forse no.
4. Ti piacciono gli animali?
Dipende. Non tutti, molti. Sicuro non mi piacciono i ragni, proprio per niente. E i serpenti mi fanno venire la nausea.

martedì 7 giugno 2016

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 6/12 giugno



Buongiorno miei prodi!
Mi scuso, davvero, perché questa misera puntata va online oggi, che è martedì, piuttosto che nel suo giorno usuale che è lunedì (e, quindi, ieri).
Il motivo del ritardo è davvero molto semplice: ieri avevo un tal mal di testa, tornata dalla palestra, che ho lavorato al computer con gli occhiali da sole. La luce dello schermo, seppur minima, mi uccideva la retina. Motivo per cui ho inviato le cinquanta mail usuali giornaliere (tutte uguali) e poi ho dichiarato bandiera bianca. Niente computer ieri, non potevo farcela.
Comunque, la vera notizia di questa settimana è che a qualcuno, che mi pensa come un prodotto editoriale (nel senso, tipo un blog di una qualche casa editrice), la mia rubrica Questione di incipit non piace. Anzi, per dirla con le parole esatte "le recensioni/presentazioni sono brutte".  Poi, vabbè, questa persona peccava anche un poco di arroganza, perché senza informarsi mi ha subito accusata di un errore grave (ma, voglio dire, io lo so che tra la gente che conosco – blogger inclusi – ricercare parole, definizioni e informazioni su Google prima di aprire bocca è una pratica non molto comune). Comunque, vabbè, quella rubrica non le piace. Non le piace così tanto che manco ha capito che non può trattarsi di recensioni, dato che si chiama Questione di incipit.  
Sapevo anche, oltre alla cosa di Google di cui sopra, che la gente non sempre è dotata di un quoziente superiore a 60 e che l'ignoranza is the new arroganza e quindi... 
Ma, bando alle ciance ché io sennò mi perdo in inutili chiacchiere, vediamo insieme l'unico libro interessante in uscita questa settimana. Lo so, lo so, è uno solo. Lo so gente, ce so' rimasta male pur'io. Andiamo incontro all'estate, molti lunedì presenteranno poche uscite da adesso a settembre.

Vi prego di guardare prima l'immagine ingrandita (che trovate qui) di questa copertina e poi di tornare qui a leggermi.
Scusate, ma uno meno cesso non ce lo avevamo per fargli fà da modello? Erano finiti quelli belli e pe' la cifra stabilita (diec'euro e 'na pacca sur culo) siamo riusciti a trovà solo un tizio con la faccia butterata e col taglio di capelli pericolosamente vicino alle tendine di Nino D'Angelo?
Ma poi tutto non funziona: è vestito come un cretino, fissa una una corona e sta fermo in mezzo a un bosco con gli alberi obliqui (ao', ognuno a casa propria c'ha l'alberi che se merita) con i piedi in fiamme. Perché quelle so' scintille, giusto? 
Con il vestito di puro acrilico io, fossi lui, me preoccuperei più delle fiamme ai miei piedi che della corona. Considerando che indossa pure il parrucchino, n'altra scintilla e se lo semo giocato eh.
Che poi, il cretino, con tutti gli alberi obliqui che c'erano ha scelto proprio gli unici due che vanno a fuoco. Ettari ed ettari de alberi obliqui e lui li capa proprio quelli in fiamme. Nino, ma siamo sicuri che stai bene? Ce vedi? Rifatte l'occhiali.
La scheda non fa alcun riferimento a oculisti, purtroppo, ma ci dice che Il principe delle tenebre racconta la storia di Jalan che ha vissuto nell'ombra della Regina dei Rossi ma ora deve difendere il regno. Il nipote della regina (credo sia della regina, non ho prestato molta attenzione) che se chiama Jalan pure lui, è un codardo, beve e fuma e gioca a carte e va a donzelle, e l'unico problema che c'è – oltre alle malattie veneree – so' i creditori. Ora, a me non pare che Jalan sia un nome così bello da farlo diventà famoso nel proprio municipio di residenza, ma questa è chiaramente solo la mia opinione. Cioè, in questo regno ce stanno quanti abitanti? Duemila? Ed è preoccupante che un nome di merda come Jalan appartenga a due persone che se incontreranno. O forse il Jalan è sempre e solo uno e so' io che non ho capito che la quarta di copertina parla sempre della stessa persona. Vabbè, tanto fa schifo uguale.
La guerra però è alle porte, un esercito di morti viventi (??) sta marciando verso la città e la Regina ha convocato la famiglia per mandarli tutti in guerra (bello eh averla per nonna). Jalan 2 (o 1 o anche tutti e due) pensa che sia solo una voce di corridoio (eh? Ma in che senso? Ma tu nonna come t'ha convocato, col pensiero?) e quando al cospetto della Regina arriva il prigioniero Tal dei Tali, lui non s'aspetta certo che quel tipo gli cambierà la vita. 
Non c'ho capito niente, me sembra una cosa più complessa dell'albero genealogico di Beautiful però sicuro è colpa mia che so' rincoglionita.



Per questo lunedì/martedì è tutto, purtroppo. Alla prossima settimana, mi auguro ci siano più nonne stronze per tutti!

venerdì 3 giugno 2016

In my bookshelf #33



Finalmente la nuova puntata di In my bookshelf! È vero, è vero, abbiamo saltato un mese perché tra il Salone e i miei impicci non c'ho proprio avuto il tempo.
Intravedo lampi di giustificato terrore nei vostri occhi e, lasciatemelo dire, fate davvero bene ad avere una leggera paura di questo post. Oggi, infatti, parlerò di ben due mesi di acquisti e letture.
Certo, è vero, a causa del periodo impicciatissimo ho letto poco, ma ho comunque acquistato – mi sembra una precisazione davvero inutile questa, ma tant'è.
Vero, verissimo, ho acquistato poco (anche se, lo ammetto, toccherà prima o poi che quantifichi questo "poco" perché sono certa di avere un metro di giudizio tutto mio) e quindi non avremo poi chissà quanti libri di cui parlare... Non sono stata al mercatino (meno male!), e sono uscita molto poco (super meno male perché sennò al Libraccio era n'attimo eh) quindi preparatevi ma non troppo. Per gli acquisti fatti al Salone del libro di Torino rimanderò al post specifico, faccio solo una veloce carrellata ché sennò io me incartapecorisco mentre scrivo e, insomma, andrebbe anche bene se non fosse che c'ho tipo da sbrigamme perché devo finire un altro dei 12 libri in lettura prima di compiere 70 anni e devo pure che studiare. Eh, gente, che ve pensate? Io qua nun me faccio mancà proprio niente, non è che mi metto a pettinà le bambole davanti allo specchio!
Ringrazio il cielo che oggi non mi tocca lavorare, perché sennò partivo pure di capoccia. Per cui, siete pronti? Si parte.

Per il gruppo di lettura di settembre (lo so, ce portiamo avanti, ma c'era stato un qui pro quo per il quale sembrava non ci dovessimo più vedere e invece poi ma anche no, ma alla fine il libro lo avevamo scelto e io lo avevo pure comprato) ho acquistato Vita e destino di Vasilij Grossman pubblicato da Adelphi. Siamo onesti, sarebbe inutile mentire, ne ho un po' paura. Questo succede perché per la maggior parte del tempo leggo libri normali, i saggi li lascio stare ai momenti di studio e la narrativa di un certo tipo decisamente non fa per me. Per cui, ecco, quando poi mi imbatto in un libro tipo questo ho sempre un po' paura di non essere all'altezza e di avvertire che mi manca qualcosa, che non capisco qualcosa mentre lo sto leggendo. È una sensazione sulla quale torneremo tra qualche riga, parlando di un libro con la media di 5 stelle che ho in lettura. Stay tuned, me raccomando.

Sempre di Adelphi ho preso poi, senza alcun motivo apparente, La famiglia Karnowski di Israel J. Singer. Gli ronzavo attorno da un po', più o meno da agosto dello scorso anno. Stavo per comprarlo a Milano, quando sono andata all'Expo, mentre attendevo il mio amico alla stazione. Poi niente, non lo so perché non l'ho preso. Forse perché c'erano circa una cinquantina di gradi e alla stazione non potevo distrarmi un attimo, data l'enorme quantità di gente che c'era, senza rischiare di rimanere senza valigia e senza borsa.

L'altro libro nuovo acquistato è Crepuscolo di Kent Haruf, per il gruppo di lettura di Laura de Il tè tostato. Io non avevo letto niente di Haruf, quando ho deciso di partecipare e, diciamocelo – perché anche qui è inutile mentire – normalmente mi disinteresso delle cose di cui parlano tutti. Motivo per cui la Ferrante, per me, sta bene dove sta, non ho letto Steig Larsson ai tempi d'oro, non me so' mai vista la serie tv di Romanzo criminale e così via. Però, invece, per Haruf la curiosità è rimasta, non si è trasformata in antipatia. Non lo so se dipende dal fatto che lo hanno letto un bel po' di persone di cui mi fido, o se forse è merito del progetto grafico della casa editrice oppure boh. E quindi, niente, Canto della pianura ce lo avevo già, me so' accaparrata Crepuscolo. Ne riparleremo, di entrambi.

mercoledì 1 giugno 2016

Questione di incipit #9



Lo so, lo so, voi c'avete ragione. So' due settimane che vi sorbite sempre le stesse due rubriche ma hey!, sembra che il periodo da schifo sia diventato un po' meno da schifo. Ieri, infatti, ho eliminato uno dei libri in lettura. Cioè, non nel senso che l'ho fisicamente eliminato, solo che sono riuscita finalmente a terminarlo.
È stata dura, ma la mia perseveranza è più dura del brutto karma. Non che facesse schifo eh, è che in questi giorni trovo difficile anche solo terminare di leggere l'oroscopo, quindi fate un po' voi.
Non si tratta nemmeno di una lettura memorabile, anzi, trovo che abbia alcuni difetti ma, a mia discolpa, posso dire di averlo scelto perché scritto in inglese e diretto a un pubblico di giovani adulti.
Ne parlerò, credo, prima o poi. In realtà c'ho altre recensioni in sospeso ma è passato così tanto tempo che, credo, non le scriverò mai.
Non mi era mai successo di non parlare di un libro che mi è piaciuto (di quelli meh, invece, succede di continuo che non c'ho manco voglia di vederli in libreria, figuriamoci parlarne) e non mi era mai successo con Anne Tyler, ad esempio.
Sappiate che Guida rapida agli adii mi è piaciuto, ma dopo la sua lettura non ho trovato il momento giusto per sedermi e scriverne. E chissà se arriverà mai, questo momento.
Frattanto, dall'alto del mio torcicollo (perché, cioè, mica me potevo fà mancà una cosa spiacevole in questo periodo, giammai!), vi faccio sbirciare gli incipit di due libri, nella ormai consolidata formula un incipit bello e uno brutto.

Voi lo sapete – e se non lo sapevate ve lo dico io adesso – normalmente, quando di una cosa parlano tutti (che sia un film, un libro, un capo d'abbigliamento), a me non interessa. Davvero dico. Ne parlano tutti? Ok, mi disinteresso in automatico. Motivo per cui, infatti, non ho ancora letto Elena Ferrante, non ho letto la trilogia Millenium, ho interrotto Game of thrones (i libri), non guardo Gomorra eccetera eccetera.
In effetti, se non fosse stato per Il tè tostato, chissà quanto tempo sarebbe passato prima che mi avvicinassi a Haruf.
E quindi, in sostanza, è andata così: Laura ha organizzato un gruppo di lettura (presso la libreria Altroquando) per Crepuscolo e io ho colto la palla al balzo, decidendo di lanciarmi nella lettura della trilogia. Ho iniziato da Canto della pianura, il primo libro della trilogia scritto da Haruf, che racconta la storia di Holt, una cittadina sperduta nelle pianure del Colorado. A Holt vivono Tom, un insegnante separato e padre di due bambini, Victoria, un'adolescente che si scopre incinta, e due anziani agricoltori che, con affetto paterno, si prenderanno cura di Victoria. Traduzione di Fabio Cremonesi.

***

GUTHRIE 

A Holt c’era quest’uomo, Tom Guthrie, se ne stava in piedi alla finestra della cucina, sul retro di casa sua, fumava una sigaretta e guardava fuori, verso il cortile posteriore su cui proprio in quel momento stava spuntando il giorno. Quando il sole ebbe raggiunto la sommità del mulino a vento, l’uomo rimase a guardare la luce che si faceva sempre più rossa sulle alette di acciaio e sulla coda, alte sulla piattaforma in legno. Dopo un po’ spense la sigaretta, salì al piano di sopra, passò oltre la porta chiusa dietro la quale lei giaceva a letto al buio nella camera degli ospiti, addormentata oppure no, e percorse il corridoio fino alla stanza a vetrate sopra la cucina, dove c’erano i due ragazzi. 
Era una vecchia veranda adibita a camera da letto, con finestre senza tende su tre lati, un aspetto aperto e arioso e il pavimento in legno di pino. Stavano dormendo ancora, nello stesso letto all’altro capo della stanza, sotto le finestre che guardavano a nord, accoccolati benché l’autunno fosse appena iniziato e non facesse ancora freddo. Era un mese che dormivano nello stesso letto e in quel momento il maggiore aveva una mano posata minacciava entrambi. Avevano nove e dieci anni, capelli castano scuro, volti lisci e guance ancora pure, dolci come quelle di una bambina.
All’improvviso fuori casa si alzò un vento da ovest che fece ruotare la coda del mulino a vento, le pale iniziarono a girare con un ronzio rosso, poi il vento si calmò e le pale rallentarono fino a fermarsi. 
Ragazzi, fareste meglio a muovervi, disse Guthrie.
Fermo in accappatoio ai piedi del letto, li guardò in faccia. Un uomo alto, con i capelli neri che si stavano diradando e gli occhiali. Il maggiore dei due ragazzi ritrasse la mano ed entrambi si rintanarono ancora di più sotto le coperte. Uno dei due sospirò sereno.
Ike.
Che c’è?
Forza.
Eccoci.
Anche tu, Bobby.
Si mise a osservare fuori dalla finestra. Il sole era più alto, la luce iniziava a scivolare lungo la scaletta del mulino a vento, la illuminava, tingeva i pioli del colore dell’oro rosa. 
Quando guardò di nuovo verso il letto, dai loro volti mutati capì che i ragazzi erano ormai svegli. Ripercorse il corridoio, passò davanti alla porta chiusa ed entrò in bagno, si fece la barba, si sciacquò il viso e tornò nella camera da letto sul davanti, le cui alte finestre dominavano Railroad Street, prese dall’armadio camicia e pantaloni, li posò sul letto, si tolse l’accappatoio e si vestì.