lunedì 22 settembre 2014

Recensione Un animo d'inverno

E salve!
Torno, finalmente in questo spazio, per parlare veramente di libri e non per farneticare su cose, situazioni, librai, club letterari e sciocchezzuole. Ieri sera ho terminato la lettura di Un animo d'inverno di Laura Kasischke, libro concessomi in anteprima da Neri Pozza perché partecipo al Neri Pozza Book Club (sì, l'ho detto un milione di volte ma metti che qualcuno arriva adesso e non lo sa? È bene precisare perché ero dotata di questo libro prima della sua uscita).
Quindi, dicevo, l'ho terminato e ho iniziato Le stanze buie di Francesca Diotallevi, copia invece concessa da La Leggivendola un trilione di anni fa (sì, vabbè, sono in ritarderrimo ma l'ho custodito bene, è stato in ottima compagnia con altri to be read, non s'è stropicciato, è stato anche al fresco).
Spero di finirlo in tempi brevi perché sono indietro con tutte le challenge alle quali partecipo e, ragazzi, Dicembre è alle porte (giusto per dire eh).
Dunque, parliamo di Un animo d'inverno.

Titolo: Un animo d'inverno
Autore: Laura Kasischke
Editore: Neri Pozza
Pagine: 288
Prezzo: 17 €
Il mio voto: 3 piume

Trama

Sono trascorsi tredici anni da quando Tatiana è con Holly ed Eric. Tredici anni da quando, in Russia, l'hanno raccolta in una coperta logora e, tremanti di gioia, l'hanno portata con loro in America. Tredici anni in cui la piccola Tatty è diventata una bellissima quindicenne, una ballerina russa dolcissima e vagabonda, l'amore della loro vita. Ora è la vigilia di Natale e fuori casa il vento fischia come un tendine teso tra gli alberi, e nevica. Eric si è avventurato nella tormenta per andare a prendere i suoi genitori e celebrare con tutta la famiglia il Natale. Holly dovrebbe essere felice in quel giorno di festa. E invece si dirige subito in cucina con i piedi nudi e uno strano pensiero in testa che non riesce a scacciare. Il pensiero che tredici anni prima qualcosa di terribile deve averli seguiti dalla Russia. È un'idea assurda, inammissibile, ma Holly ne percepisce, ne avverte chiaramente la verità da quando si è svegliata in quella mattina d'inverno. Come spiegarsi, infatti, gli eventi accaduti? La gatta che improvvisamente si trascina via le zampe posteriori e la coda? Il rigonfiamento sul dorso della mano di Eric, un minuscolo terzo pugno da omuncolo che i medici trascurano come cosa da niente, ma che non sparisce? La zia Rose, che si è messa a parlare in modo strano, in una lingua sconosciuta? E i dischi, tutti graffiati dall'oggi al domani, irrimediabilmente rovinati? Qualcosa li ha seguiti dalla Russia. Holly se lo sente dentro, come un dolore bruciante... 

La mia recensione

Mi riesce difficile parlare di Un animo d'inverno. Ancora adesso, dopo averlo finito e aver ragionato sulla storia, sui personaggi, sull'epilogo, sullo stile e sulla struttura narrativa non riesco a dire se mi sia piaciuto un po' oppure no. Certamente ci sono elementi che di questo romanzo ho apprezzato che, sebbene non mi abbiano convinta del tutto, non mi hanno lasciata completamente indifferente.
La storia narrata si svolge durante il giorno di Natale di un anno imprecisato in casa dei coniugi Holly ed Eric i quali, tredici anni prima hanno portato a casa con loro, dalla Siberia, una piccola e dolce bambina sottraendola alle violenze e alla malnutrizione dell'orfanotrofio Potrovka n.2.
Tredici anni in cui hanno amato, oltre ogni limite, quella bambina dai capelli lunghi e lucenti, dagli grandi e occhi profondi. Una vita come tante altre, simile a quella di tante altre famiglie fino a quel giorno. Della trama, purtroppo, non posso dire nulla più senza lasciarmi sfuggire qualche spoiler.
L'idea di base è buona e Laura Kasischke è di certo in grado di utilizzare bene le parole, creando immagini nitide e reali non solo di persone e situazioni, ma anche di stati d'animo ed emozioni.
L'unico vero grande neo di questo romanzo che non mi ha lasciata completamente soddisfatta della lettura, è costituito dalle ripetizioni e da una costante sensazione di dubbio non tanto sulla storia, quanto sull'aver compreso o meno quanto sta accadendo. Dubbio che, una volta terminata la lettura, non è stato comunque fugato. La domanda, la vera domanda su Holly, me la sono posta a pagina dieci ed è rimasta così, invariata, fino alla fine. Questo, mi rendo conto, è un mio limite e un mio difetto: odio leggere libri, ma anche guardare film e serie tv, che non mi forniscono una risposta chiara.
Ma, al di là della risposta più o meno chiara che fine lettura che non è arrivata – e sulla quale posso comunque continuare rimuginare da sola e che non deve necessariamente costituire il fine ultimo della storia narrata – e che può essere un problema magari per me ma per altri lettori no, il vero scoglio insormontabile è costituito dalle ripetizioni. Continue, inutili ripetizioni. Altre trenta pagine di Russia, Siberia, orfanotrofio Potrovka n.2 e Tatiana e avrei preso il muro a testate.

martedì 16 settembre 2014

Fabio Stassi, Jennifer Egan, Book Club Neri Pozza, acquisti e scoperte libresche e blablabla

Sebbene abbia inserito nel titolo come primo argomento Fabio Stassi, preferirei cominciare a parlarvi di Jennifer Egan e del suo romanzo, unico suo lavoro che ho avuto tra le mani, Il tempo è un bastardo. Ve ne voglio parlare subito perché è passato fin troppo tempo da quando l'ho terminato e se non comincio subito temo che non ve ne parlerò mai. 
Lo confesso, mi sono avvicinata alla Egan per due semplici motivi: il primo è che mi è stato consigliato da un libraio, che poi sono dettagli che corrisponda al mio attuale ragazzo, e poi perché la struttura narrativa utilizzata nel romanzo è la stessa che mi aveva fatta innamorare di Olive Kitteridge (di cui vi ho parlato qui). Forse è un caso, o forse no, che entrambi i romanzi abbiano vinto il Pulitzer. Certo non è un caso che mi siano piaciuti entrambi, in modo molto diverso tra loro però.

Il tempo è un bastardo è uno di quei libri che non dà spazio alle mezze misure: o ti piace e da subito oppure non ti piace per niente. Appartiene a quella categoria di letture che non ti senti pienamente di consigliare a qualcuno. A meno che, sia chiaro, quel qualcuno non legga esattamente gli stessi libri che leggi tu. Perché questo romanzo non è un romanzo vero e proprio, ma non è nemmeno una raccolta di racconti. E poi i personaggi, sono tanti –forse a tratti anche troppi– e le loro caotiche vite sono tutte strettamente relate tra loro. 
Il grado di apprezzamento di questo libro dipende, secondo me, dal tempo che ci si impiega a leggerlo e, soprattutto, dal modo in cui se ne affronta la lettura. Si tratta di un libro che va letto con la costanza che si dedica a un romanzo ma con l'idea che ci si stia intrattenendo con una raccolta di racconti. Quale che sia la figura portante del romanzo/raccolta di racconti non ve lo so dire. La vita, forse. Certamente non lo sono Bennie e Sasha, personaggi con i quali si apre e chiude quanto viene narrato da Jennifer Egan. 
Sì, probabilmente la protagonista è la vita. Di Bennie, di Sasha, di Lou, di Alex, di Scotty. Così sfuggente, a volte così cruda e dalla durezza addirittura prepotente, con i suoi fallimenti, le sue ingiustizie, le dipendenze. 
I continui salti temporali tra un capitolo e l'altro, i cambiamenti del punto di vista e dell'ambientazione delle vicende a volte disorientano, ti lasciano stordito. Chi è chi parla, in che modo è collegato a chi e dove si trova, sono le prime cose che cerchi di capire mentre ti trovi a leggere l'inizio di una storia, un capitolo o un racconto, che dir si voglia.